
Sovvertire i paradigmi, in un mondo che si muove con la lentezza costitutiva del settore vitivinicolo, è davvero impresa ardua. Tuttavia si tratta di un momento di svecchiamento, plausibilmente (e a dita incrociate) non destinato ad approdare all’entropia, ma, se possibile con spinta ancora maggiore dalla pandemia in poi, ad una versione modernizzata del segmento, e chi fa il mio mestiere ha la rarissima fortuna di scrutare sbirciare analizzare e successivamente poter raccontare il classico universo in trasformazione.

Per farlo sono andato in Trentino, a Ravina, sede di Cavit.
Cavit, comunque lo si guardi, rappresenta un unicum: un consorzio di secondo livello di Cantine Cooperative il cui fenomeno, lo ammetto, mi affascina magneticamente. Un’entità che compendia altre realtà consortili, nella fattispecie 11 cantine sociali, espressione delle 5 macro-aree della Regione (Campo Rotaliano, Valle di Cembra, Valle dell’Adige, Vallagarina e Valle dei Laghi) per un totale di 5.250 viticoltori, occupanti una superficie vitata pari a circa il 60% dell’area totale del Trentino, ovverosia 6.350 ettari. Dati indubbiamente impressionanti, che non possono non suscitarmi, da sempre simpatizzante degli artigiani del vino, un istintivo meccanismo di difesa. Non dobbiamo tuttavia distrarci dagli esiti, dato che nei suoi settant’anni di vita la società con sede a Ravina di Trento, partendo dall’attività di consulenza enologico-vitivinicola diretta ai soci, si è successivamente evoluta con successo nella direzione della commercializzazione dei prodotti finiti. In realtà, con più si approfondisce il microcosmo di Cavit, con più impressiona l’accuratezza di un progetto inclusivo, in cui l’ambizione è quella di “fare bottiglie di vino buono, alla portata di chiunque”.

Chiaro che è facile dirlo con 60 milioni di bottiglie prodotte (e sei linee di imbottigliamento, di cui una dedicata agli spumantizzati, una cantina iper-tecnologica, dalle dimensioni, ma soprattutto dalla pulizia, impressionante).
Ma, a pensarci bene, è facile veramente?
No, in realtà no, non è facile per nulla.

Non è facile promuovere un’agricoltura di prossimità ed accuratezza inventandosi il PICA (acronimo di Piattaforma Integrata Cartografica Agriviticola) che, inaugurata nel 2010, rappresenta ad oggi la più avanzata soluzione per l’implementazione di una viticoltura eco-sostenibile in Italia. Sotto la regia di Andrea Faustini, enologo, il progetto PICA si concretizza in un lavoro in campagna di grande raffinatezza, che nasce da un meticoloso lavoro di mappatura dell’intero territorio vitato trentino (circa 5000 i carotaggi effettuati), di suo un insieme non omogeneo di climi, altitudini, paesaggi e tipologie di terreno. Tutte le informazioni raccolte vengono conferite ad una banca dati centralizzata, interfacciata alle maggiori fonti cartografiche italiane, aggiornata in tempo reale, a disposizione degli associati anche via app, con l’elaborazione di modelli previsionali allo scopo di facilitare ogni viticultore nel suo lavoro: pianificare tecniche di coltivazione, ridurre al minimo i trattamenti, controllare lo stato di maturazione delle uve per organizzare la vendemmia.

L’invenzione tra l’altro è talmente finalizzata all’attività associativa che Cavit (fatto non casuale) negli anni ha semplicemente trascurato di monetizzarla, tanto da farsela scopiazzare, impunemente, in tutta Italia. Se vogliamo non è facile nemmeno garantire il numero minore di interventi possibili, senza mai comunicare, nemmeno per sbaglio, il termine ‘biologico’ o ‘sostenibile’, nonostante effettivamente lo sia, nel modo meno superficiale possibile, anche nella logica della redistribuzione della ricchezza, cosa che i soci sanno bene. Non è facile creare linee di vini accurate, appositamente destinati alla GDO e all’Horeca, monitorandone i prezzi di vendita al pubblico e gli eventuali utilizzi impropri, facendo davvero un, rarissimo, lavoro di tutela del consumatore. Il tutto condito da 0 supponenza, 0 necessità di ‘vendere’ teorie ortocentriche, competenze, curiosità, disponibilità all’ascolto e ridiscussione delle proprie certezze. Un sistema virtuoso, quindi, oltre ad una modellizzazione per un futuro vitivinicolo? Sì, io credo di sì.

La concezione dei vini di Cavit ha il suo nadir nella linea Bottega Vinai, dedicata alla ristorazione, recentemente oggetto di un restyling visivo ma non concettuale. Rimane, a mio avviso, una delle proposte migliori a livello di qualità/prezzo sul mercato, conferma degli intendimenti del board. Poi c’è Altemasi, esperienza fondamentale nel mondo degli spumantizzati Trentodoc, insieme ad una linea di piccole chicche da poche migliaia di bottiglie (su cui spiccano il Pinot Grigio e lo Chardonnay di Maso Toresella), anche in questo caso profondamente rivelatorie del lavoro di grande qualità che si mette in campo qui a Ravina.

Mi ripeterete, facile farlo con 60 milioni di bottiglie.
Ma è facile veramente?
No, direi proprio di no.
Ecco quindi gli assaggi migliori:

Altemasi Trentodoc Blanc de Noirs 2018
La qualità indubbia del Pinot Nero di casa Altemasi, nella fattispecie proveniente dai terreni porfirici in Valle di Cembra e dalle colline intorno a Trento, collocati tra i 450 e i 600 metri slm. Un corredo olfattivo fitto di note officinali, timo citrino, nespola, tocchi di mandorla tostata, bocca succoso-sapida, con ritorno fruttato e officinale.
Altemasi Trentodoc Rosé Riserva 2017
Altopiano di Brentonico, Val di Cembra, terreni basaltici in grande spolvero per questa scintillante Riserva Rosé, da blend quasi paritario di Chardonnay e Pinot Nero, con ‘ricetta’ di grande equilibrio, con piccole variazioni a seconda dell’annata. Particolarità della lavorazione del PN a ‘cappello sommers’, con separazione del mosto una volta raggiunto il ‘punto di rosa’ desiderato. Ribes rosso al naso, con tocchi di ginger e noce moscata. Beva salmastro-sapida, con eccellente persistenza.
Trentino Superiore DOC Pinot Grigio Rulendis 2019
Eccellente Pinot Grigio di grande croccantezza e spinta varietale. Da vitigni collocati nelle valli Giudicarie e in Valle di Cavedine nella zona nord del lago di Garda, con sottosuoli morenici, naso di cedro, susina gialla e maggiorana, tocchi di biancospino, al palato teso, croccante, agrumato, con chiusura salmastra e persistente.
Trentino DOC Riserva Chardonnay Maso Toresella 2018
Uno dei gioielli di casa, dal piccolo clos sulle sponde del Lago di Toblino, Valle dei Laghi, un microclima di grande peculiarità, animato dal Pelèr mattutino e dall’Ora del Garda pomeridiana. Maturazione fenolica ed estratto glicerico di grande consistenza, fermentato ed affinato in barrique. Naso di melone bianco e genziana, sfumature di chiodi di garofano, al gusto croccante-teso, con ritorno fruttato.
Trentino DOC Sauvignon Blanc Bottega Vinai 2021
Altra prova memorabile in bianco, da vigneti collocati nella Valle dei Laghi, lavorato per il 5% della sua massa in legno. Naso con note di rosmarino, poi pesca tabacchiera e noce moscata, con finale molto mentolato. Bocca salmastro-sapida, con ritorno fruttato-officinale e persistenza.
Trentino DOC Rosso Quattro Vicariati 2018
Storico bordolese trentino, uno dei primi in assoluto della tipologia, che prende il nome dai quattro centri della Vallagarina di Mori, Brentonico, Ala e Avio che rappresentavano, per l’appunto, i ‘quattro vicariati’ originari. Proviene zone collinari ai lati del fiume Adige tra Mori, Rovereto e Avio, blend di 70% Cabernet (Sauvignon a prevalenza) e 30% Merlot, è un vino di grande piacevolezza, che mostra al naso grande sapidità, e molta succosità al palato. Ribes rosso, note di chinotto e liquirizia, con tocchi di rabarbaro. Salmastro alla bocca, con finale fruttato e ritorno agrumato.
RICCARDO CORAZZA