
“Là dove i contrasti si estinguono è Nirvana”, scriveva Hermann Hesse. È proprio questo che ho pensato arrivato per la prima volta a Castelluccio, e l’emozione è stata travolgente, indegna del cronista asettico che, peraltro, non sono.

Quello che penso è che ognuno di noi enomaniaci dovrebbe ringraziare personalmente Aldo e Paolo Rametta, il socio Cristiano Vitali e Francesco Bordini per essersi assunti l’onere di fare rivivere questo mito, la leggenda di Gian Vittorio Baldi, il visionario regista-viticoltore che rivoluzionò, tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, il panorama vitivinicolo romagnolo, e il figlio Gian Matteo, che si occupò di perpetuare le sue idee. “Come è nato il ‘Ronco del Re’?” scrive in una lettera Gian Vittorio all’amico Luigi Veronelli, coinvolto in quel progetto fin dall’inizio, “prendendo un vitigno acclimatato in una zona calda e tranquilla e spaesarlo in una collina fredda e ventosa e farlo ammalare…O moriva o diventava più forte e con maggiore identità.”

La sfida di Castelluccio è tutta qui, condensata in parole incredibili per intuizione, pensando che si era appena alla fine degli anni ’70. Poi il mito cresce, quel Ronco del Re, un Sauvignon Blanc in purezza, diventa uno dei bianchi italiani più ambiti al mondo, ma è il Sangiovese che esce da Castelluccio a fare scuola, Ronco del Casone, Ronco della Ginestra e dei Ciliegi, più avanti il Ronco della Simia, sono i primi vini romagnoli che si permettono l’ardire di sfidare non la Toscana, perché la Toscana non è ancora quel fenomeno comunicativo e qualitativo di ora, ma direttamente i vini francesi.

Strano paradigma di intuizioni felici, Castelluccio rimane un unicum di esperienza intellettuale legata al vino, un esempio, a veder bene un po’ impietoso, di ‘quello che poteva essere e non è stato’. Ma dopo anni di appannamento forse è la volta, per Castelluccio, di tornare a splendere, le prove di botte lo confermano, e l’emozione è altrettanto forte. A breve le prime release, ma la conferma è tutta in quella collocazione. L’intuizione era benedetta, la vite non dimentica. Castelluccio tornerà a ruggire. Come e più di prima.

Assaggi:
Forlì IGT SANGIOVESE DI CASTELLUCCIO 2013
E’ in realtà il Ronco dei Ciliegi, che è valso a Castelluccio la ‘chiamata’ da Opera Wine. Un vino che gioca sull’eleganza del Sangiovese di Modigliana, che possiede marcatori olfattivo-gustativi di grande peculiarità. Melograno al naso, una bella spinta balsamica, sentori di sottobosco e sempreverdi. La bocca ha tannini iodati ma eccellente acidità, una bella spinta salmastra più che sapida e finale di croccantezza con ritorno balsamico e di sottobosco.
Forlì IGT Ronco delle Ginestre 2006
Il Sangiovese di Romagna dei sogni proibiti, elegante, gastronomico, di grandissima piacevolezza, da bere da solo o a tutto pasto. Profondità e balsamicità, ancora piccoli frutti rossi, lampone, ma in confettura, complessa speziatura, eucalipto, con finale di frutta sotto spirito, la bocca è densa, sapida, con eccellente acidità e persistenza, ritorno speziato-fruttato. Un vino maestoso, una sinfonia in bicchiere.
Forlì IGT Ronco del Re 2008
L’assaggio più sorprendente di giornata, un vino difficilmente incastrabile in formule. Attacco di frutta bianca, poi l’apertura del fiore, con sviluppo di terziari in bicchiere, timo, mandarino, zafferano, pepe bianco, croccantezza alla bocca ma soprattutto la composta eleganza di una donna che si sa bella, mai obbligata a strafare. Salmastro, finale con ritorno officinale-agrumato.